Gregoretti e l’aneddoto su Santa Chiara, protettrice della tv

Il regista amava raccontare di quando suggerì di elevare la santa alla custodia del nuovo mezzo di comunicazione, capace di regalare il potere dell’ubiquità

Nella vita professionale di Ugo Gregoretti, scomparso il 5 luglio, c’è un episodio poco conosciuto che il regista amava raccontare, sempre con quel suo stile tra celia e verità. È il 1954, anno di inaugurazione della tv italiana. Pio XII, preoccupato dell’insorgere della modernità, vorrebbe subito metterla nelle mani di un santo protettore, esattamente come oggi la Chiesa sta cercando un patrono per internet (San Genesio protegge i teatranti, mentre il cinema è ancora orfano). Della ricerca, viene incaricato il dg della Rai, Giovanni Vicentini, che a sua volta affida ai più brillanti funzionari, tutti di buone letture, un più approfondito screening. Il laico Gregoretti suggerisce Santa Chiara, perché in un episodio dei «Fioretti» ha letto che Chiara, ammalata nella sua cella, riuscì a seguire, «come fosse presente», le cerimonie sacre che si tenevano nella chiesa francescana di Assisi dove era allestito il presepe.

L’idea piacque alla Segreteria di Stato e il 14 febbraio 1958, Pio XII pronunziò il «breve» (è un documento pontificio meno solenne della bolla) «Clarius explendescit», col quale si elevava Santa Chiara alla custodia della tv: «Presieda a questa arte — recita il testo pontificio — Chiara, fulgente per la sua integrità e sorgente di luce in così fitte tenebre, affinché attraverso questo mezzo così trasparente si manifestino anche la verità e la virtù…». La Chiesa, grazie a Gregoretti, riconosce dunque al nuovo mezzo un requisito eccezionale: il dono dell’ubiquità, quella miracolosa presenza simultanea di una stessa persona in due o più luoghi diversi. E traspare anche l’idea che la tv sia un presepe, una miniaturizzazione del mondo, una rappresentazione. Non tutti sanno però che Chiara è anche patrona dei vetrai (per via dello schermo?) e delle lavandaie (e questo spiega, con tutto il rispetto per la desueta professione, il dilagare dei talk, delle urla e delle risse).